Non so se “la bellezza salverà il mondo” come scrive Dostoevskij nell’Idiota, ma l’arte sicuramente può indicarci una disposizione che può rivelarsi terapeutica di fronte alle difficoltà. Alle lacerazioni della vita l’arte risponde, infatti, con la generazione creativa di nuove forme. L’artista rielabora le criticità in modo poetico donando nuovo senso a eventi talvolta dolorosi e controversi.
La scena artistica mediorientale, al di là degli stereotipi
Nei Paesi mediorientali, teatro, negli ultimi settanta anni, di guerre e scontri sociali, l’espressione artistica ha spesso l’intento di incidere sulla realtà affrontando con coraggio questioni a cui la politica non lascia spazio. E di origine mediorientale sono le tre donne a cui dedico questo post, artiste di fama internazionale che sanno, oltre i cliché, raccontarci un mondo estremamente sfaccettato e, tutto sommato, poco conosciuto.
Tra passato, presente e futuro

- Espone in tutto il mondo Shirin Neshat, oggi un simbolo di coloro che, perseguiti dal regime, non possono più tornare nel luogo d’origine. Nata a Theran, a soli diciassette anni, nel 1974, si trasferisce negli Stati Uniti a causa della Rivoluzione Islamica. Quando farà ritorno in Iran, agli inizi degli anni Novanta, saprà raccontare, lontano dagli stereotipi, la radicale trasformazione della donna iraniana nella società post rivoluzione. Il suo primo lavoro, quello che l’ha resa famosa nel 1993, è Women of Allah, una serie di fotografie di donne con velo, kalashnikov e con i visi parzialmente coperti da scritte in caratteri persiani. Le sue sono immagini poetiche e conturbanti al contempo, che raccontano la nuova, complessa, identità della donna-madre iraniana: vittima ma anche, sovente, fautrice di violenza quando, obbedendo agli ayatollah è pronta ad imbracciare le armi, colpita dalle politiche repressive e alla ricerca di spazi di espressione.
- Esproprio, memoria e oblio sono i concetti esplorati da Larissa Sansour, originale artista di origini russo-palestinesi, che affronta, attraverso i linguaggi del cinema, della fotografia, dell’installazione e della scultura, questioni storico-politiche ambientandole in contesti fantascientifici. È proprio ideando nuovi scenari immaginari, che Sansour si sente libera di forgiare realtà che permettono di ripensare le problematiche del presente. Celebre è il suo cortometraggio dal kubrickiano titolo A space Exodus, dove l’artista travestita da astronauta compie un fantasmagorico viaggio nello spazio. Atterrata sulla Luna, parodiando il celebre video dell’allunaggio di Armostrong, la sua voce recita: “Un piccolo passo per i palestinesi, un grande passo per l’umanità” (clicca qui per vedere la clip). Poi Sansour pianta la bandiera palestinese sul suolo lunare e saluta, con un sorriso appena abbozzato e forse un po’ nostalgico, la piccola sfera terrestre in lontananza.
- Si muove lungo la linea del tempo con le sue sculture in argilla, Simone Fattal, artista libanese nata in Siria, nel 1942. Lavorare la creta è per lei un modo per connettersi al passato, alla mitologia e alla mistica dei sufi. Ma è anche il modo con cui racconta un presente fatto di guerre e sradicamento. Le sue sculture antropomorfe, a prima vista, sembrano provenire da un mondo antico. Fattal, infatti, si lascia ispirare dai reperti archeologici, attingendo però anche alla sua fantasia. I suoi collage, come They Have Found Weapons of Mass Destruction, nei quali le foto dei corpi senza vita dei figli di Saddam Hussein sono accostati a immagini di artefatti antichi e contemporanei, a foto di animali e piante, ci catapultano invece in un presente di distruzione che sembra caratterizzato dall’oblio.

Oltre l’eurocentrismo
Queste tre artiste ci parlano di un mondo che molto spesso viene rappresentato come statico e monolitico, coperto dalle fosche brune del fanatismo religioso. Ma il seme della creatività attecchisce anche nei terreni che sembrano meno fertili ed accoglienti. Anzi, forse è proprio da quel sottosuolo che possono crescere i fiori dalle corolle più iridescenti. E con il suo linguaggio universale l’arte ci permette di ripensare le differenze all’interno di una cornice più ampia, quella umana.
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Giallo come i granelli di sabbia del deserto e verde come le foglie degli alberi che ricoprono le nostre montagne, questi sono i due colori che userei se mi disegnassi. Nomade ma sempre alla ricerca di un posto che sappia un po’ di “casa”, amo viaggiare senza una meta precisa, conoscere le storie delle persone che incontro e mangiare sano. Adoro leggere e imparare – nell’incessante ricerca di risposte alle infinite domande che affollano la mia mente – e per questo mi ritaglio sempre un po’ di tempo per studiare. Mi sono laureata in filosofia e ora lavoro come operatrice culturale: è bello pensare ad un evento e progettarlo giorno dopo giorno fino alla sua realizzazione. Per il blog di Yoga Hub raccolgo alcuni spunti su come l’arte possa essere benefica per la nostra mente e il nostro corpo.
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