Parasite, si è aggiudicato ben quattro premi Oscar ed è stato eletto miglior film 2020. È la prima volta nella storia degli Academy Award che un film straniero conquista la statuetta nella categoria più prestigiosa.
Si, lo so, probabilmente ti starai chiedendo cosa ci fa un articolo di cinema in un blog di yoga e salute? Bè, non tenterò di dare consigli su come cambiare le cattive abitudini o come stare bene con sé stessi (lascio questo compito a chi ha più competenze di me). Credo però che nutrirsi di cultura sia una delle forme più salutari di alimentazione e cura di se stessi.
Ecco il perchè della rubrica “la chicca del mese” in cui di volta in volta, troverai un romanzo, un saggio, un film, una serie tv per “prenderti cura” della parte meno fisica del tuo io e scoprire un contenuto in grado (si spera) di ispirarti, farti riflettere o semplicemente dilettarti.
Ma ritorniamo a Parasite. La regia è del sudcoreano Bong Joon-ho, dura 132 minuti, è uscito nelle sale italiane lo scorso novembre e ha già vinto la Palma d’oro.
Due famiglie, due case, due mondi inconciliabili
Parasite è la storia di due famiglie. La prima è la famiglia Kim, molto povera, sbarca il lunario a fatica e vive, letteralmente, come scarafaggi in un seminterrato di un sobborgo di Seoul.
La luce, fioca e angusta, entra solo da un lucernario in alto che dà sulla strada (tenete a mente questa immagine), da cui non di rado si vedono ubriachi urinare. Lo spazio è ridotto e non dà modo di ritagliarsi la propria privacy. La convivenza non è facile, ma ad unire i Kim è il senso di sopravvivenza e l’affetto familiare.
Da tutt’altra parte, sempre a Seoul, in una villa d’autore vive la famiglia Park. Un’esistenza all’apparenza idilliaca in una villa da sogno. Ampi spazi in cui ognuno può coltivare i propri interessi, linee minimal, luce calda e diffusa che entra da un’enorme vetrata con vista sul giardino, da cui si può godere dell’armonioso dialogo tra l’azzurro del cielo e il verde delle siepi (almeno fino alle scene finali del film). Insomma la villa e la vita che tutti desiderano, soprattutto i Kim.
Disuguaglianza, senso di rivalsa, fragilità
Le due famiglie entrano in contatto tramite Ki-woo, il figlio dei Kim che inizia a dare lezioni di inglese alla giovane figlia dei Park. Con poche ma astute conversazioni, Ki-woo conquista la fiducia e il rispetto della signora Park. Il giovane intuisce così che può sfruttare questo ascendente a vantaggio suo e di tutta la sua famiglia.
Con dinamiche che ricordano in qualche modo l’arte di arrangiarsi della commedia italiana dei Soliti Ignoti o di Poveri ma Belli, i Kim mettono in atto un piano diabolico.
Inutile dirlo, la situazione ben presto gli sfugge di mano, rivelando tutte, ma proprio tutte, le differenze sociali tra le due famiglie, anche quelle più viscerali come l’odore della pelle.
I Kim, dalla loro, mettono in scena la voglia di riscatto sociale attraverso la vendetta di classe e la necessità di appagare ogni desiderio piccolo borghese che il sistema in cui sono incastrati gli nega di realizzare.
I Park hanno tutto, anche troppo. Perbenisti, ben educati, ingenui, colti ma influenzabili, frivoli, legati all’apparenza e allo stesso tempo fragili, quella fragilità di velluto che solo chi non conosce le brutture della vita può permettersi.
[No spoiler] Il finale di Parasite non ha vincitori, ma solo vinti
Parasite è uno di quei film che racchiudere in un genere cinematografico sarebbe ingiusto ma soprattutto riduttivo. E il finale non fa che confermarlo.
Ci troviamo dentro la ferocia del cinema splatter, il black humor delle commedie nere, elementi del thriller, del film d’autore con la sua per nulla velata critica alle disuguaglianze sociali. Potremmo andare avanti definendolo drammatico, grottesco, tragi-comico, satirico, realista, sudcoreano e via discorrendo.
Quello di Parasite è un finale angoscioso, amaro, sognante ma mai insensato, ingiusto secondo i canoni dell’happy ending ma più che coerente sul piano della narrazione. E’ un finale circolare che riprende elementi scoperti a metà film e li proietta in avanti, in un futuro che si vorrebbe decisamente diverso da un presente ineluttabile.
Insomma un film che appaga non solo gli esteti e cultori del cinema, ma chiunque sia alla ricerca di un film completamente fuori dagli schemi, inaspettato e ben riuscito.
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Sono nata nella “terra dei vespri e degli aranci” e sono stata adottata dalla terra del Concilio e delle mele. Quando sono arrivata non avevo un paio di scarponcini, ma ben presto ho scoperto la passione per il trekking e per le lunghe camminate in montagna. Mi piace avere i piedi ben saldi e assicurati per terra e tenere la testa leggera per viaggiare e girovagare. Leggo molto per passione e scrivo tanto per lavoro. Curo blog e contenuti di diverse aziende, gioco con le parole, cerco quelle giuste, come quando si raccolgono le more più succose da rovi spontanei.
Per il blog di Yoga Hub Trento raccoglierò spunti e consigli su libri, film, serie ed eventi per coccolarsi un po’ quando non si ha il tappetino di yoga a portata di mano.
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